Santi
da scopertine/coprire
SANTA CATERINA DA SIENA
A cura di Patrizia Solari
In
questo numero della rivista ci vogliamo occupare di santa Caterina da Siena
(ricordata nel calendario liturgico il 29 aprile), che ha esercitato la virtù
della carità in un modo che ci appare diverso dall'idea che comunemente
abbiamo. L"'opera" di Caterina non è propriamente un'opera
di carità nel senso specifico espresso dalla vita di altri santi: a partire
dall'amore di Cristo, che viene cioè da Cristo, in un tempo di grande
travaglio per la Chiesa (dapprima i Papi ad Avignone, poi il Grande Scisma,
con due Papi eletti dai cardinali) la giovanissima Caterina si adoperò
per salvare la verità e l'unità della Chiesa ed espresse così
il suo amore assoluto per Cristo. Ma è all'interno di questa verità
e di questa unità che sono possibili tutte le "opere di carità"
prodotte nel corso della storia della Chiesa. D'altra parte Caterina espresse
la carità nel "carisma di maternità" che esercitò,
con tenerezza e fermezza, nei confronti di tutte le persone che incontrava,
preoccupandosi di loro nella totalità della loro vocazione.
Caterina nasce 650 anni fa, nel 1347, ventiquattresima figlia di Jacopertine/copo Benincasa,
tintore, e dì monna Lapa. Il parto è gemellare, "la gemellina
muore quasi subito, ma l'anno successivo nascerà una venticinquesima
sorella. In più, la famiglia accoglie un cuginetto orfano, di dìeci
anni: diventerà frate domenicano e sarà il primo confessore di
Caterina".1)
Proprio quell'anno era scopertine/coppiata la terribile "peste nera", che in
pochi mesi porterà alla tomba più di un terzo della popolazione
europea. È il culmine di una situazione di angoscia che la cristianità
vive verso la metà del secolo XIV: "L'Italia è in preda alle
guerre civili che mettono una città contro l'altra e, nella stessa città,
un partito in lotta fratricida contro un altro partito. La Germania è
in preda al caos; Inghilterra e Francia hanno cominciato la tragica e interminabile
Guerra dei cent'anni; l'impero d'Oriente è in disfacimento e i Turchi
premono minacciosamente ai confini dell'Europa. Dovunque scopertine/coppiano guerre di
contadini che si sentono oppressi ed emarginati. La carestia e le catastrofi
naturali sono ricorrenti." E a causa della peste pare che a Siena la popolazione
scese da ottantamila a quindicimila abitanti.
Caterina, fin da piccola, cerca il silenzio, la preghiera, l'austerità.
La sua infanzia e la sua giovinezza sono costellate da miracoli, narrati nella
Leggenda, di cui parla lei stessa o il suo confessore e gli innumerevoli ammiratori
che la circondano. "Tutti sanno comunque, con certezza, che l'infanzia
di Caterina è stata irrimediabilmente segnata da una visione di Cristo
sorridente, dal cui cuore esce un raggio luminoso che la raggiunge e la ferisce.
Così la bambina cresce diversa dagli altri numerosi fratelli e sorelle
(dei più non sappiamo neppure il nome!): cresce 'consacrata' da un voto
di verginità (cioè di amore esclusivo a Cristo) che lei stessa
ha fatto spontaneamente, già a sette anni. (...) A 15 anni - per togliere
ogni illusione alla madre che vorrebbe fidanzarla a ogni costo - Caterina compie
un gesto decisivo: esce dalla sua stanza dopo essersi tagliati i lunghi capelli
(...): adesso ella è secondo l'espressione del tempouna 'fanciulla tonduta',
una fanciulla sottratta alle vanità del mondo, 'consacrata'. La madre,
per punizione e per stornarla da un progetto che le sembra assurdo (Caterina
è l'unica figlia che lei abbia allattato ...) licenzia la domestica e
fa pesare su di lei gran parte dei lavori domestici: pensa che, con quel peso
superiore alle sue forze, alla ragazza non resterà tempo per indulgere
a fantasie e pratiche monacali. (...) A Caterina è tolta perfino la sua
stanzetta per impedirle di ritrovarsi in preghiera ed è allora che ella
ha imparato per sempre a rifugiarsi in se stessa: 'fabbricò dicono le
cronache nell'anima sua una cella interiore dalla quale imparò a non
uscire mai'."
Nel rapporto tra madre e figlia possiamo cogliere l'opposizione tra un progetto
"per il mondo", che la madre ha sulla figlia, e la strada alla quale
Caterina è stata chiamata fin da bambina.
"Con la mamma, Caterina è dolce e obbediente, ma inflessibile. Più
tardi - quando dovrà continuamente viaggiare per obbedire alla sua 'missione'
e la mamma si lamenterà delle sue lunghe assenze - Caterina, che è
ormai diventata la guida spirituale anche della sua stessa madre, le scriverà,
non senza 'ricordare': (...) voi amate più quella parte che io ho tratta
da voi, che quella che ho tratta da Dio, cioè la carne vostra della quale
mi vestiste (lettera 240). Nella storia del problema educativo, poche volte
è stato descritto altrettanto bene, in forma così cristianamente
essenziale, il torto che i genitori possono fare ai loro figli: amare in loro
quella carne che essi gli han dato più di quell'anima che Dio ha messo
in loro, quella irripetibile impronta e destino con cui Egli li ha fatti e segnati
per Sé. Tutta la lettera, definita 'dal principio alla fine gentile e
grande' è costruita su questo invito di Caterina: Con desiderio ho desiderato
di vedervi madre vera e non solamente del corpo, ma dell'anima mia. (..) Fu
il papà che prese finalmente le sue difese. Rivolto alla moglie e agli
altri figli, il buon Jacopertine/copo decise: 'Nessuno dia più noia alla mia dolcissima
figliola ... lasciate che serva come le piace il suo Sposo. Mai potremo acquistare
una parentela simile a questa, né dobbiamo lamentarci se invece di un
comune mortale riceviamo un Dio e un Uomo immortale'." Le categorie sono
decisamente altre e, in questi paragoni, Dio è veramente una presenza.
"Finalmente, a 16 anni, Caterina può entrare fra le terziarie domenicane
di Siena: porterà la veste bianca e il mantello nero dell'Ordine di S.
Domenico (le chiamano perciò 'mantellate'), ma non sceglie la clausura,
il monastero, perché intuisce dì avere una missione pubblica da
svolgere. Comincia a distribuire il suo tempo e le sue forze tra le occupazioni
familiari, le lunghe preghiere e l'assistenza agli ospedali (Siena ne contava
allora 16!) e al lebbrosario."
Caterina eserciterà un vero e proprio carisma di maternità, caratterizzato
da una "dolcezza tagliente come una spada", sia con le persone che
le si erano raccolte attorno, sia al momento della sua missione pubblica nella
Chiesa quando dovrà trattare con ogni sorta di personaggi importanti,
Papi, alti prelati, nobili ...
"L'aspetto più evidente della sua intima maturazione è il
fatto che attorno a lei, ragazza illetterata, si costituisce una compagnia di
seguaci e di ammiratori. È chiamata in un senso tutto spirituale la 'bella
brigata', composta da gente di ogni età e condizione: magistrati e ambasciatori,
pittori e poeti, nobili e borghesi, cavalieri e artigiani, nobildonne e popolane.
Nell'elenco ci sono anche religiosi d'ogni specie: domenicani, francescani,
agostiniani, vallobrosani, guglielmiti e altri. Tra tutti si discute di teologia
e di mistica, si legge la Divina Commedia e si studia S. Tommaso d'Aquino e,
soprattutto si impara ad amare con tutto il cuore Cristo Redentore e la Chiesa
suo mistico corpo. È un vero e proprio 'movimento cateriniano' che si
allarga sempre più (durante la vita della Santa toccherà il centinaio
di persone): tutti chiamano Caterina 'mamma' e lei li chiama 'dolcissimi figlioli'.
Non solo li segue e li consiglia spiritualmente uno per uno, ma si sente responsabile
della loro vita, della loro fede, della loro vocazione. (...) Ella se ne prenderà
cura fin sul letto di morte: li vorrà attorno a sé e a molti di
loro darà l'ultima 'ubbidienza' indicando dettagliatamente la strada
vocazionale che ognuno dovrà percorrere."
Quando Caterina ha circa vent'anni "sente che qualcosa di decisivo deve
accadere e continua a pregare intensamente con quella splendida e dolcissima
formula che le è divenuta abituale: chiede al suo Signore Gesù:
'Sposami nella fede!"'. E la sera di carnevale del 1367 "mentre gli
schiamazzi riempiono la città e la sua stessa casa, la giovane è
lì nella sua stanzetta che ripete assorta la sua preghiera sponsale 'per
la millesima volta'. Ed ecco apparirle il Signore che le dice: 'Ora che gli
altri si divertono ... io stabilisco di celebrare con te la festa dell'anima
tua'. (...) Fino ad alcuni anni fa (forse ancor oggi) c'era a Siena l'usanza
che nell'ultimo giorno di carnevale a nessun corteo o maschera fosse concesso
passare per la contrada di Fontebranda, là dove quelle mistiche nozze
furono celebrate. Sul frontone dell'edificio c'è ancora scritto: 'E'
questa la casa di Caterina, la Sposa di Cristo': Altri episodi fecero capire
a Caterina che "Dio l'aveva investita della missione di sostenere e quasi
incarnare quella Chiesa del suo tempo così bisognosa di amore forte,
di decisione e di 'riforma'. Lumile ragazza illetterata cominciò a riempire
il mondo di messaggi, di lettere lunghissime dettate con una impressionante
velocità, spesso tre o quattro contemporaneamente e su argomenti diversi,
senza confondersi e senza che i segretari riescano a mantenere il suo ritmo.
(...) Ciò che impressiona in esse è la forza e la frequenza del
verbo :'io voglio'. (...) Quando comincia la sua più impegnativa corrispondenza,
quella con il papa Gregorio XI per convincerlo a tornare a Roma, usa formule
piene di tenerezza e tuttavia non è meno decisa: Voglio che siate quello
e buono pastore, che se aveste cento migliaia di vite, vi disponiate tutte a
darle per onore di Dio e per salute delle creature ... Virilmente, e come uomo
virile seguitando Cristo, di cui vicario siete ... Su dunque, Padre, e non più
negligenzia! (Lettera 185)"
Con lo stesso tono scrive a principi e regnanti: a Bernabò Visconti,
signore di Milano, alla regina di Napoli, al re di Francia. "La missione
di Caterina diventa quella di pacificare le città e la Chiesa: condizione
ineliminabile è il ritorno del pontefice a Roma; ma ella sa di dover
incarnare personalmente il travaglio necessario. (...) sa che, in un modo misterioso,
le sofferenze e i destini della Chiesa la riguardano."
"Finalmente ella poté recarsi di persona ad Avignone e vi incontrò
subito lo scherno dei Cardinali: 'Essendo tu povera donniciola, córne
ti àrroghi di parlare di un simile argomento col nostro Signor Papa?'
Ma non sapevano di avere a che fare con una che li poteva contemporaneamente
amare e onorare con tutto il cuore per la dignità e il sacerdozio di
cui erano rivestiti, ma non temeva anche di definirli `servi del Dimonio' quando
ostacolavano la volontà di Dio e la sua missione."
Nel 1376, Gregorio XI torna a Roma e nei pochi anni che trascorrono tra questo
ritorno e il Grande Scisma "che nuovamente impegnerà Caterina nella
lotta per la Chiesa, nasce in brevissimo tempo, ma preparata da tutta la vita,
quell'opera che farà di lei un Dottore della Chiesa. La Santa lo chiamò
semplicemente, ma in forma quasi assoluta: Il Libro'. (...) Sono 167 capitoli
strutturati attorno a quattro domande che Caterina rivolge al Padre celeste,
'con ansietato desiderio'. La prima domanda è misericordia per Caterina':
e Dio risponde aiutandola col cognoscimento di te e di me', immergendola cioè
nella luce abbagliante di chi finalmente comprende di essere 'nulla' davanti
al 'tutto' che è Dio, eppure scopertine/copre con stupore infinito che di questo
piccolo nulla Dio è da sempre innamorato. La seconda domanda è:
'Misericordia per il mondo'; la terza è: 'Misericordia per la Santa Chiesa'.
Caterina chiedeva che il Padre 'tollesse le tenebre e la persecuzione' e di
poter portar lei il peso dì ogni iniquità. La quarta domanda è
'provvidenza per tutti'. Ad ogni domanda dunque Dio Padre risponde lungamente
e tutta la dottrina cristiana vi si dipana nei suoi vari aspetti teologici,
morali e ascetici. Ciò che il divin Padre soprattutto dice è che
la misericordia è già stata donata quando volendo rimediare a
tanti mali v'ho dato il Ponte del mio Figliolo".
Poi scopertine/coppiò
il Grande Scisma. "Due papi vennero eletti dagli stessi cardinali e la
cristianità si spaccò in due e per quarant'anni il dubbio sul
legittimo pastore devasterà la Chiesa. Caterina chiamata a Roma da Urbano
VI, il vero papa, lo sostenne a spada tratta contro ogni dubbio e ogni tentennamento
(...) Dicono i biografi che si potrebbe ricostruire quasi mese per mese l'attività
che Caterina svolse a favore del papa: lettere e messaggeri inviati a quasi
tutti i regnanti d'Europa; consigli al pontefice per un totale rinnovamento
della curia e soprattutto il tentativo di far stringere attorno al papa quella
che lei chiamava 'la compagnia dei buoni' (Lettera 305). (...) Contemporaneamente
ella, con sano realismo, si rendeva conto che il carattere impetuoso e violento
di papa Urbano non facilitava la riconcifazione. (...) E con delicatezza, il
giorno di Natale, regalò al pontefice cinque melarance piene di confettura,
lavorate secondo un'antica ricetta senese: ne approfittò per spiegare
al papa come un frutto naturalmente aspro possa riempirsi di dolcezza in modo
da corrispondere al suo rivestimento dorato. (...) Dicono gli storici che di
fatto Caterina 'obbligò il mondo a riconoscere papa Urbano VI'. Intanto,
benché non avesse ancora trentatré anni, lei era distrutta dalla
fatica e dalla passione. Sapeva di dover offrire soprattutto se stessa. Pregava:
O Dio eterno, ricevi il sacrifizio della mia vita in questo corpo mistico della
Santa Chiesa. lo non ho che da dare altro se non quello che tu hai dato a me
(Lettera 371)."
"Durante la quaresima del 1380, benché quasi non potesse più
camminare, fece voto di recarsi ogni giorno a S.Pietro. (...) E quell'ultimo
faticosissimo pellegrinaggio quotidiano è ormai un simbolo: quando giunge
nella Basilica che rappresenta il cuore della cristianità, ogni mattina
si ferma davanti al mosaico disegnato da Giotto (che allora era al centro sul
frontone dei porticato), che raffigura la scena evangelica della navicella sbattuta
dalle onde in tempesta, simbolo della Chiesa che sembra andare alla deriva,
ma che nulla può sommergere. Era un'immagine che piaceva molto a Caterina:
spesso aveva scritto nelle sue lettere: 'pigliate la navicella della Santa Chiesa'
(Lettera 357)".
"Così Caterina passò la sua ultima quaresima: soffrendo assieme
a quella Chiesa che chiama 'dolcezza dell'anima mia' e aspettando, assieme a
lei, il dono della Resurrezione. Non riuscì a completare il voto; la
terza domenica di quaresima si accasciò davanti al mosaico, mentre s'era
fermata lì in preghiera; le sembrò disse che tutto il peso di
quella navicella e dei peccati che portava fosse addossato alle sue fragili
spalle. La condussero nella sua celletta in via del Papa (anche i particolari
hanno una loro tenerezza) e lì restò immobile per circa otto settimane
in una lunghissima agonia. La domenica che precedeva l'Ascensione tutti ebbero
l'impressione che subisse una lotta indicibile. La udirono ripetere a lungo:
'Dio abbi pietà di me, non mi togliere la memoria di te' (...) Morì
l'ultima domenica di aprile, a trentatré anni, alle tre del pomeriggio
(...) dicendo come il Crocifisso: 'Padre, nelle tue mani affido il mio spirito'.
Il teologo agostiniano, che Caterina aveva convertito e che l'aveva assistita
in punto di morte, non riuscì a predicare al suo funerale. "Balbettò
soltanto: 'Non riesco a parlare. Ma non importa. Caterina parla da se stessa!"'
1) Tutte le citazioni sono tratte da: A. Sicari, "Nuovi ritratti di Santi",
Ed. Jaca Book, 1991